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In Italia l’energia costa 102,7 euro per megawattora, in Germania circa 70 euro, in Francia 48 euro, in Spagna 52.7. Con le sole rinnovabili da noi si copre circa il 20% del totale della disponibilità energetica lorda, il resto è soprattutto gas naturale (35%) e petrolio e derivati (37,9%), con piccole quote dal ciclo dei rifiuti. Ma quel che più conta è che siamo ancora dipendenti dall’estero per oltre il 74%, come ha appena ricordato la relazione sul 2023 del ministero dell’Ambiente, che pure ha registrato un calo del 5% delle importazioni di energia rispetto al 2022. È anche in base a questi dati, ricordati al meeting dei Giovani industriali di Capri dall’amministratore delegato di A2A Renato Mazzoncini, che si comprende l’accelerazione del Governo per l’utilizzo del nucleare di terza generazione e di quello della quarta, già in fase di sperimentazione, considerati più sicuri. Ne ha parlato ieri, sempre a Capri, in videocollegamento, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, lanciando una proposta agli industriali e ai sindacati per lavorare insieme su questo fronte e annunciando anche entro fine anno le prime norme legislative in merito: «Invito il presidente di Confindustria e i sindacati a fare un patto per rientrare», come Paese, «tra i grandi produttori di nucleare». L’obiettivo, spiega il ministro, è di «aiutare le nostre imprese con un’energia sostenibile», perché «il costo dell’energia è il principale differenziale competitivo, l’unico vero differenziale competitivo, rispetto agli altri Paesi Europei».
Le imprese sono pronte a dare una mano perché, spiega il presidente di Confindustria Emanuele Orsini in chiusura dell’evento caprese, «al Paese serve l’indipendenza energetica». Ovvero, un mix di fonti nelle quali il nucleare deve trovare sempre più spazio, sfruttando peraltro insiste Orsini la capacità di sperimentazione e di produzione dei nuovi micro-reattori che può essere messa in campo già adesso da una settantina di aziende del Paese. Naturalmente occorreranno risorse adeguate, per le quali la sinergia tra pubblico e privato è a dir poco indispensabile. Ma nessun dubbio, osserva ancora Orsini, che questo è «un tema di competitività del Paese» al quale nessuno può sottrarsi.
Il dialogo tra governo e imprese
Nel dialogo governo-imprese c’è anche un altro scoglio importante sul quale però non si registra al momento la stessa uniformità di vedute. È l’attuazione del Piano Transizione 5.0 che sulla scia di Industria 4.0 mette in campo oltre 13 miliardi tra transizione digitale e risorse del Repower Eu (6,3 miliardi queste ultime) collegate al Pnrr. Ed è proprio questo il punto: riusciranno a utilizzarle le aziende visto che la scadenza del Piano resta fissata al 30 giugno 2026 per i progetti e al 31 dicembre dello stesso anno per le rendicontazioni? Il ministro assicura la massima assistenza, ricorda che rispetto a Industria 4.0 gli adempimenti procedurali sono cambiati di poco, e che in queste settimane sono arrivati già 450 progetti ma conferma che non è all’ordine del giorno la modifica della scadenza 2026. «Le norme vanno semplificate – ribatte a distanza Orsini – Capisco le difficoltà legate ai tempi del Pnrr ma non si può pensare di lasciare incompiute le opere iniziate, soprattutto quelle infrastrutturali». Dal presidente di Confindustria arriva allora la proposta di «tenere in piedi anche con Transizione 5.0 gli acconti ricevuti dalle imprese nel 2023 perché oggi ordinare macchinari che costano 2 o 3 milioni vuol dire impiegare almeno un anno per metterli a terra».
Sul dinamismo delle imprese però tutti concordano. C’è e ci sarà anche al Sud come spiega Bernardo Mattarella, Ad di Invitalia, il braccio operativo del Mimit che gestisce la quasi totalità degli incentivi alle imprese: «Quello che vediamo dal nostro osservatorio Invitalia dice il manager pubblico – è che gli investimenti da parte delle imprese non si sono fermati e la domanda di incentivi è sempre costante. Questo vuol dire che c’è fermento, ma anche che c’è bisogno di sostegno». La doppia transizione, digitale e ambientale, è entrata ormai a vele spiegate nei piani di investimento delle imprese: «Sono stati particolarmente attivi settori come meccanica di precisione, agrifood, farmaceutico, tutti quei settori che hanno un contenuto innovativo spinto nel loro DNA. E questo continuerà a essere il trend dei prossimi mesi e anni». È un trend che coinvolge non solo le grandi imprese ma anche le più piccole, quelle come le start up che sono appena nate e quelle che vogliono consolidarsi mentre cresce l’attenzione sugli investimenti strategici anche delle medie imprese: «Solo nel 2023 abbiamo sostenuto 64mila imprese, senza contare quelle assistite dal Fondo di Garanzia di Mediocredito Centrale che Invitalia controlla. Sono 4.200 le nuove imprese e quasi la metà sono imprese femminili, e dei 31mila lavoratori da noi assistiti o consolidati quasi la metà, il 48%, opera nel Mezzogiorno» ricorda Mattarella. Dati che confermano la crescita dell’imprenditoria under 35 e indicano una prospettiva concreta per il Mezzogiorno, in linea con i anti indicatori che lo hanno eletto a locomotiva d’Italia nell’ultimo anno.
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