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Crescono gli investimenti negli allevamenti di polpi. Anche l’Italia non si sottrae alla pratica crudele #finsubito prestito immediato


L’opera di sensibilizzazione fatta da molte associazioni animaliste ha fatto sì che nello scorso marzo lo Stato di Washington vietasse per legge la costituzione di allevamenti di polpi. Un argomento di cui avevamo già trattato e che sta entrando nel dibattito pubblico di molti Paesi. Argomentazioni che evidentemente non hanno stimolato riflessioni generalizzate da parte di tanti altri governi che stanno incrementando gli investimenti su questo tipo di allevamento, senza considerare l’impatto ambientale e il benessere animale. A far luce sugli investimenti pubblici a livello globale, Italia compresa, è il nuovo rapporto pubblicato da Compassion in World Farming che stima una spesa di almeno 13,3 milioni di euro di denaro pubblico per la ricerca finalizzata allo sviluppo dell’allevamento di polpi.

Gli investimenti pubblici in Italia e nell’Ue

Da quanto emerge dal documento, l’Italia avrebbe speso 253.750 euro per progetti legati all’allevamento del polpo. Tra il 2005 e il 2019 il Ciwf ha individuato tre progetti di ricerca italiani incentrati sullo sviluppo dell’allevamento di polpi. A due di questi progetti sono stati destinati fondi pubblici per il suddetto importo, mentre la somma spesa per il terzo progetto non è stata resa nota. Uno di questi progetti, avviato nel 2009, era descritto nel modo seguente: “Progetto pilota per il trasferimento delle tecniche di allevamento del polpo (Octopus vulgaris), come nuova specie ai fini dell’acquacoltura, agli operatori del settore della Regione Puglia”. Un altro progetto, avviato nel 2005 e denominato L’allevamento dell’octopus vulgaris, ha ottenuto 168.750 euro. Il terzo progetto, intitolato OCTOS – Prove di allevamento del polpo e ostrica piatta in associazione ad un impianto di mitilicoltura, ha ricevuto un finanziamento di 85mila euro. Nel resto d’Europa il governo ad aver investito di più è quello spagnolo che ha speso almeno 9,7 milioni di euro per sviluppare questa forma di allevamento. Secondo quanto svelato dal documento, inoltre, circa 3,6 milioni di euro di questa cifra sarebbe stata spesa utilizzando fondi dell’Ue, sia come finanziamento che come parte di prestiti per sostenere le aziende private coinvolte.

Gli allevamenti di polpi nel resto del mondo

Al di fuori dell’Ue il Cile è il paese che più ha speso per la ricerca in questo settore con circa 2,4 milioni di euro seguito dalla Nuova Zelanda, con più di mezzo milione di euro, e l’Australia 324 mila euro, mentre il Messico ha ricevuto 89 mila euro dal Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo per sviluppare l’allevamento di polpi. Tuttavia, la ricerca ha anche evidenziato che le informazioni sui progetti possono essere difficili da accedere – questo a indicare che gli importi reali potrebbero essere molto più alti. Ciò è una conferma della necessità di una maggiore trasparenza nella spesa pubblica, affinché cittadini e cittadine possano chiederne conto ai Governi.

I cittadini italiani chiedono un cambio di passo

A tal proposito un sondaggio pubblicato a fine settembre da Ciwf ed Eurogroup for Animals, ha dimostrato che il tema degli investimenti pubblici nel settore ittico è di grande importanza per le persone in Italia. Secondo l’84% dei rispondenti, infatti, il denaro pubblico dovrebbe essere investito solo in allevamenti sostenibili. Si tratta della percentuale più alta tra tutti e nove i Paesi dell’Ue in cui è stato condotto il sondaggio, con una media registrata del 79%.

Perché il polpo non si alleva

I polpi sono animali selvatici estremamente intelligenti e per loro natura solitari, incompatibili con le condizioni di sovraffollamento tipiche degli allevamenti intensivi. Confinarli in spazi ridotti potrebbe indurli a comportamenti aggressivi o addirittura a episodi di cannibalismo. Allevare i polpi sarebbe inoltre una pratica insostenibile, poiché richiederebbe di nutrirli con pesci selvatici catturati in natura, aggravando così il sovrasfruttamento delle risorse ittiche e l’insicurezza alimentare delle comunità già vulnerabili in tutto il mondo.



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