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TORINO. Buchi dichiarati, che in realtà erano voragini. Crediti non incassati da anni. Anche da un milione e mezzo di euro. Conti che sembravano puliti. Obiettivi che apparivano raggiunti, con riscossione di bonus. Ma era – o meglio, sarebbe stata – tutta una grande farsa. Almeno questa è la tesi della procura di Torino, che ieri ha chiuso un’inchiesta colossale sui bilanci degli ultimi dieci anni dell’azienda ospedaliero universitaria della Città della salute. Sarebbero falsi. Scritti sulla base di omissioni e dichiarazioni non vere. «In modo da indurre – mettono nero su bianco i pm Giulia Rizzo e Mario Bendoni – i destinatari delle comunicazioni sociali, compresi i cittadini, a celare il reale andamento economico e patrimoniale» dell’azienda.
I due magistrati torinesi hanno fatto notificare nelle scorse ore 25 avvisi di garanzia a molti vertici – ed ex – della struttura. Per i presunti bilanci falsi sono indagati l’attuale direttore generale della Città della salute, Giovanni La Valle e i suoi predecessori Silvio Falco, Gian Paolo Zanetta e Angelo Del Favero. Devono rispondere dello stesso reato anche direttori sanitari e amministrativi ai posti di comando negli ultimi dieci anni e vari componenti dei collegi sindacali. Per ogni bilancio esaminato dai carabinieri del nucleo investigativo compaiono anomalie. Cifre che non tornano. Il filo rosso che collega i documenti contabili di un decennio è la falsificazione dei passivi. Nel 2014, per esempio, il risultato di esercizio generale dichiarato relativamente al settore della libera professione era di meno 12 milioni e 753 mila euro. Ma in realtà, il “rosso” reale, sarebbe stato – secondo la procura – più profondo: di meno 14 milioni e 127 mila euro.
La maggior parte delle cifre “false” per i pm sarebbe relativa alle attività intramoenia dei medici a libera professione, che svolgono in ospedale visite al di fuori del normale orario di lavoro, a fronte del pagamento da parte del paziente di una tariffa.
I conti non tornano, secondo gli inquirenti, perché alcuni indagati avrebbero, commettendo (anche) il reato di truffa, violato la normativa sulla cosiddetta “quota a fondo Balduzzi”. Anziché incassare il 5 percento del compenso dei liberi professionisti, destinandolo ad attività di prevenzione o alla riduzione delle lunghe liste d’attesa, i direttori della Città della salute avrebbero evitato di riscuotere sette milioni di euro dal 2015 al 2022. I fatti di reato precedenti al 2018 sono prescritti, quindi l’ammanco relativo a questa contestazione è di un milione e 700 mila euro. Sull’intramoenia si era innescato un circolo vizioso. Più le attività di libera professione si moltiplicavano, più si allungavano i tempi delle liste d’attesa, e viceversa. Le relazioni sulla libera professione sarebbero mandate, con dati falsi, alla Regione Piemonte (persona offesa nel procedimento insieme alla Città della salute e ai ministeri dell’Economia e della Sanità), che avrebbe elargito premi e bonus ai direttori, leggendo che avevano raggiunto determinati obiettivi. Tra cui, paradossalmente, quelli del «miglioramento dei tempi di attesa».
Al di là di questo, ci sarebbero altre anomalie nei bilanci dell’ente. Una serie di crediti non riscossi risalenti a vicende giudiziarie, fallimenti, o fatti misteriosi ancora da accertare. Nel 2015, per esempio, gli indagati avrebbero omesso di svalutare i crediti nei confronti del fallimento di Ristor matik, società che gestiva la distribuzione di bibite e alimenti. L’importo complessivo è di un milione e 212 mila euro. Nessuno sa dove siano finiti quei soldi. E perché nessuno ha provato a riscuoterli. E ancora. Nel bilancio del 2017 sarebbero stati svalutati crediti nei confronti della Fondazione Ordine Mauriziano per quasi tre milioni di euro. Mancherebbe anche, nelle casseforti, un milione di euro che Michele Di Summa, cardiochirurgo condannato, avrebbe dovuto risarcire a Città della salute. È solo uno dei tanti misteri dell’indagine.
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